I baffi tatuati delle Ainu tra superstizione e magia

Ainu tatuaggio

Le antiche abitanti del Nord Giappone si facevano questo peculiare “marchio” per somigliare agli uomini, prepararsi al parto e connettersi con gli antenati

Lo scorso 8 marzo in occasione della festa della donna abbiamo riportato le vicende di alcune celebri donne baffute della storia, quest’anno scriveremo invece qualcosa a proposito delle Ainu, esponenti femminili o cicciebaffette del popolo che più anticamente ha abitato le isole del Giappone (e alcune remote zone della Russia) e che fino alla metà del secolo scorso adornavano le loro labbra con tipici tatuaggi (nuye o sinuye in lingua Ainu) a forma di baffi. Un rituale antichissimo che ha origini sacre per questo popolo che vive oggi per la maggior parte nel Sud dell’isola di Hokkaido e che soltanto dal 2008 ha potuto avere un riconoscimento ufficiale da parte dello stato giapponese (evento che potrebbe aver salvato la lingua e le usanze degli Ainu decisamente a rischio di estinzione vista la forte penetrazione della cultura giapponese e l’uso di tramandarsi oralmente il proprio patrimonio culturale).
Ainu sfondoI miti Ainu narrano che a trasmettere alle prime donne la tradizione dei tatuaggi fu la divinità Okikurumi Turesh Machi sorella ancestrale del Dio creatore Okikurumi (lo Zeus del pantheon nella religione Ainu). La conoscenza dell’arte del tatuaggio si trasmetteva in maniera matrilineare ed è oggi quasi del tutto scomparsa (l’ultima Ainu tatuata secondo tradizione è morta nel 1998) in virtù del forte ostracismo delle autorità giapponesi che soprattutto durante il periodo Edo (tra 1600 e 1800) si opposero alla pratica del tatuaggio, sia per motivi sacrali legati al culto del corpo, sia perché questi disegni erano una peculiarità dei fuorilegge – anche oggi sono rimasti un tratto distintivo degli Yakuza, la mafia giapponese – e di tutte quelle persone ai margini del sistema giapponese (come per l’appunto gl’indomabili Ainu).
Fortunatamente alcuni centri di cultura locali sono impegnati nel recupero di questa antica tradizione che si eseguiva per mezzo di appuntiti rasoi di ossidiana chiamati makiri (la lavorazione di questa pietra vulcanica è ancora oggi il fiore all’occhiello dell’artigianato degli Ainu), immersi nel materiale tingente (il più delle volte cenere particolarmente trattata).
AinuLe Ainu cercarono sempre di evadere i divieti imposti dal governo centrale anche perché la pratica del tatuaggio era un prerequisito essenziale per trovare marito e avere il proprio posto nell’aldilà.
I disegni tracciati ritualmente intorno alle labbra delle fanciulle erano i più importanti. In qualche maniera scandivano la vita delle ragazze: si iniziava intorno ai 6-7 anni con una piccola macchia disegnata sul labbro superiore e via via si estendeva la decorazione fino ai 15-16 anni, periodo che contrassegnava normalmente l’età in cui le ragazze prendevano marito.
Le incisioni, che scolpivano sul volto delle iniziande un caratteristico sorriso baffuto alla Jocker (simile ad un Glasgow smile), potevano lasciare le ragazze febbricitanti per giorni e impossibilitate a mangiare tanto che, per dissetarsi, ricorrevano spesso a delle pezze di cotone imbevute nell’acqua e strizzate all’interno della bocca attraverso le labbra.
AinuQueste sofferenze, secondo gli Ainu, dovevano preparare le più giovani ai dolori del parto e ritualmente impedivano agli spiriti cattivi di impossessarsi delle loro anime (normalmente entravano più facilmente attraverso le bocche delle donne sprovviste di tatuaggi), garantendogli la vita oltre la morte e un posto tra gli antenati nell’aldilà.
La maestra di tatuaggi eseguiva questa pratica intonando delle particolari canzoni che dovevano favorire l’impressione dell’inchiostro sulla pelle applicato con il rituale makiri spesso arricchito di figure rituali e animali sacri.
Le più giovani che non riuscivano a sopportare il dolore venivano trattenute dalle altre iniziande mentre il sangue veniva asciugato con una pezza intinta in una sostanza antisettica ricavata da alcune peculiari varietà di evonimo.
AinuIn qualche maniera questi tatuaggi e la sofferenza per imprimersi sulla pelle questi peculiari mustacchi, mettevano le donne Ainu allo stesso “livello peloso” dei loro uomini, cacciatori e guerrieri che a loro volta per tradizione – e a differenza dei “glabri” giapponesi – portavano fin dalla pubertà dei folti baffi e delle lunghe barbe (tenuti ritualmente lunghi e praticamente quasi mai accorciati), accompagnati da capelli altrettanto rigogliosi e da una fitta coltre di pelo sul corpo.
Anche i maschi adulti di questa popolazione avevano dei rituali connessi strettamente ai mustacchi e in particolare ad alcune asticelle para-baffi finemente decorate, denominate Ikupasuy.
Ainu beveQuesti bastoncini servivano da schermo per i baffi durante l’utilizzo rituale di sake o birra di miglio bevuti in copiosi quantitativi dai partecipanti e offerti alle divinità tramite questi Ikupasuy, che in qualche maniera raccoglievano la colatura alcolica dai mustacchi. Le Ainu si decoravano anche mani e braccia con motivi geometrici sulla falsa riga di quelli mostrati in basso, ma non approfondiremo avendo focalizzato – e non poteva essere altrimenti – la ricerca su questi particolari baffi tatuati dal Sol Levante… W le cicciebaffette.

Ainu forearm tattoos with three, five and seven-strand network patterns.

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