Detti baffuti: Ridere sotto i baffi

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Nascondere sotto mustacchi il movimento delle labbra provocato dal riso: un breve studio su questa irsuta locuzione

Kevin Costner Baffi

Ridere sotto i baffi: modo di dire nell’uso comune della lingua italiana che espone in maniera colorita, come a volte riesce soltanto al nostro idioma, il nascondere una risata sotto i peli dei propri mustacchiLocuzione che allude alla natura goliardica dei baffi e al loro collegamento con il senso dell’umorismo – non è un caso che diversi comici famosi, da Charlie Chaplin a Jimmy Edwards abbiano adottato il baffo come segno distintivo della loro maschera – ma che al contempo include implicitamente riflessioni sulla furbizia connesse alla lanuginosa protuberanza sopra-labiale.
Il gatto che uccella il ristoratore rubando un pezzo di pietanza dal desco del convivio, mentre si lecca le zampe dopo il misfatto e prima di schivare un oggetto lanciato dall’adirato taverniere, sembra ridere sotto i baffi. Per converso a sua volta Tom, il gatto della celebre serie animata di William Hanna e Joseph Barbera, sembra subire la stessa sorte angariato dal topolino Jerry che ad ogni tiro mancino e sberleffo procurato al suo rivale felino, sembra ridere sotto i baffi beffandosi – perdonerete l’intenzionale gioco di parole – della sua sorte avversa.
Sempre in tema di cartoni animati è emblematica a tal proposito la risata beffarda di Muttley, il cane spalla di Dick Dastardly in Quei temerari sulle macchine volanti (Those Magnificent Men in Their Flying Machines) e La grande corsa (The great race), altre due fortunate produzioni della penna di Hanna e Barbera, che ride di nascosto, e per l’appunto sotto i baffi, alle spalle del baffuto compare ogniqualvolta questi veda sfumare uno dei suoi piani diabolici per vincere una corsa, sia essa su di un mezzo aereo o su quattro ruote.

Giova a tal proposito chiarire in questa sede la locuzione riso sardonico, espressione idiomatica della lingua italiana agli antipodi del ridere sotto i baffi e che, nella sua emblematica differenza, crea un utile stacco interpretativo.
Questa locuzione simile al riso verde – sorriso amaro e ricco di bile – prevede uno spasmo prolungato dei muscoli facciali in una risata forzata dai risvolti eminentemente tragici. Simile deformazione del volto è adottata da alcuni eroi negativi dei fumetti, del teatro e del cinema.
Il fantasioso Joker nemesi di Batman nel comics Marvel disegnato da Jerry Robinson, ha infatti il volto perennemente deformato da questa amara smorfia procurata a seguito di un incidente seguito ad un combattimento con il suo eterno rivale Batman. Il ghigno bieco del nemico dell’eroe-pipistrello ne caratterizza il personaggio che per semplificare – la figura di Joker è infatti estremamente complessa e meriterebbe una trattazione a sè – sembra ridere del male che procura nell’intento di affermarsi negli ambienti criminali di Gotham City ma che nel contempo è condannato a questo riso amaro, perennemente sconfitto nel suo personale duello contro il paladino della giustizia.
JokerE’ possibile riscontrare una sintesi ancora più perfetta di tale espressione nel personaggio di Canio, dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, clown triste tradito dalla moglie Nedda, che entra in scena distrutto dalla notizia della consorte fedifraga e che con un trucco mima nel volto un sorriso, intonando il celebre componimento Vesti la giubba che cita: “Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto” che contrasta palesemente con le tinte burlesche del suo travestimento.
Il riso sardonico è invece proprio uno dei temi principali della splendida pellicola di Alex de la Iglesia, Ballata dell’odio e dell’amore (“Balada triste de trompeta). I due co-protagonisti il pagliaccio triste Javier, – interpretato da Carlos Areces – e Sergio, il pagliaccio scemo – interpretato da Antonio de la Torre –  sono a loro modo innamorati della stessa donna, la trapezista Natalia che sembra ricambiare l’amore per Javier ma non vuole abbandonare il suo compagno Sergio, nonostante questi la maltratti regolarmente. In un gesto estremo di gelosia Javier picchia selvaggiamente con una tromba il suo rivale in amore procurandogli il cosiddetto Glasgow smile (o sorriso di Glasgow, una ferita che le gang di strada del Regno Unito procuravano ai loro rivali come sfregio, facendo dei tagli ai bordi della bocca e percuotendo il malcapitato finché i muscoli del viso non si contraevano creando un orrorifico sfregio sino alle orecchie). A seguito della folle aggressione il clown triste ormai totalmente impazzito si dà alla macchia e dopo una serie di avvenimenti drammatici tramuta la sua tristezza in gioia folle e incontrollata, sfigurandosi perennemente il volto per rassomigliare ancora meglio ad un pagliaccio e, ostentando un ghigno diabolico, inizia a seminare il panico per la città, cercando di riconquistare il suo amore. Nel frattempo anche Sergio – il clown scemo, quello che faceva ridere – con il viso ormai deturpato, in una parabola simile ma dai risvolti totalmente differenti cerca la sua vendetta contro il suo aguzzino/rivale in amore e la trova quando al termine di un inseguimento mortale, salito su una torre, fronteggia Natalia e Javier, con un epilogo che vede il suo zenit nella tragica morte della trapezista contesa tra i due e che vede entrambe i clown protagonisti portati via dalla polizia, con il viso ormai per sempre segnato dal riso sardonico.
balada-tristeEtimologicamente la frase deriva dalla parola del greco arcaico sardánios che appare per la prima volta nell’Odissea di Omero in riferimento al riso amaro di Ulisse nell’episodio che lo vede schivare una zampa di bue lanciata dal “senza legge” Ctesippo di Samo che si prende gioco dell’eroe camuffato da mendicante, venendo così meno al sacro concetto della xenia che nelle tradizioni del mondo greco antico prevedeva il rispetto del padrone di casa verso l’ospite. Altre tradizioni antiche parlano di riso sardonico riferendosi all’uso degli antichi Sardi di offrire in sacrificio al dio Crono gli anziani oltre la soglia dei settanta anni, gettati in un dirupo drogati di erba sardonica, pianta recentemente individuata nel finocchio d’acqua, che provoca effettivamente questa specie di ghigno forzato e probabilmente anche un senso di generale stordimento.

Tornando al ridere sotto i baffi, a livello etimologico non è possibile riscontrare tale espressione idiomatica nella lingua latina. Gli antichi romani non coltivavano un amore particolare per i baffi, e in pubertà i peli del viso venivano offerti in sacrificio ad Apollo. La prima rasatura rappresentava infatti, in qualche maniera, l’ingresso nel mondo degli adulti ed essendo i romani un popolo guerriero ed eminentemente pratico, usavano rasarsi il capo e il viso con regolarità per scongiurare epidemie di pidocchi durante le campagne di guerra e al contempo evitare che i nemici potessero usare capelli e barbe come appigli nella mischia della battaglia.
Sembra dunque probabile che tale espressione idiomatica abbia origini più recenti, forse risalenti al primo medioevo, periodo storico che ha avuto un occhio di riguardo per i mustacchi, sia in ambito Bizantino che tra Franchi, Longobardi e fra quasi tutte quelle popolazioni barbare che presero il posto dei romani. Non è tuttavia escluso che tale locuzione abbia invece origini più recenti, ad esempio ottocentesche quando l’epopea del baffo italiano ebbe la sua massima fioritura. Pur tuttavia, in assenza di uno studio approfondito, risulta in questa sede impossibile trarre le dovute conclusioni.

E’ invece interessante ricordare che esiste un’espressione idiomatica praticamente speculare in turco (Bıyık altından gülmek), e i turchi sono da sempre inclini alla coltivazione delle protuberanze sopra-labiali. Anche nel linguaggio corrente della Romania è presente tale locuzione (A râde pe sub mustaţă), e del resto anche da queste parti vale lo stesso discorso fatto in precedenza per la Turchia. Risulta invece davvero strano che popoli dalla lunga tradizione baffuta come francesi, inglesi, spagnoli e tedeschi non presentino un simile modo di dire nel parlare, e anche l’assenza di tale espressione idiomatica nella mustacchiosissima Ungheria, è un dato che non può non destare legittime perplessità. Anche dall’irsuta Cina, patria di insigni baffuti, non ci giungono notizie di persone che ridono sotto i baffi. Le nazioni dove ci si avvicina di più a questo peloso modo di dire sono la Danimarca con il suo Le i skægget, che significa “ridere sotto la barba” invece che sotto i baffi  – qui pesa enormemente la barbuta tradizione vichinga dei danesi – e il Belgio con il fiammingo In zijn baard lachen dove il sorriso, come in precedenza, è sempre celato dalle escrescenze lanuginose di guancie e mento. Nel resto del mondo si ride invece sotto al cappotto, sotto alle maniche, persino dietro ai pugni ma non sotto i baffi.

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