Un giorno un baffo: 12 Aprile Ninco Nanco

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Bentornati al  consueto appuntamento settimanale, con la rubrica più interessante e meno seria di tutta la rete informatica. Oggi è il 12 Aprile e il caldo torrido che pervade il luogo dove scrivo, rischia addirittura di farmi afflosciare i mustacchi. Questa stupida e alquanto inutile divagazione ha un duplice obiettivo: il primo è quello di allungare il più possibile questo brodo peloso, onde incorrere nell’ira funesta del pater dell’Accademia, nonché guida spirituale dei miei baffi. In secondo luogo il clima subtropicale che ci circonda, ci sfinisce sia a livello fisico che mentale, costringendoci a riparare, come delle nutrie, in luoghi umidi e freschi, ideali per la lettura dei nostri articoli. Dopo una preparazione psicofisica adeguata, quindi, siamo pronti a presentare uno dei baffoni più intrepidi e maneschi che il Regno d’Italia abbia mai conosciuto: Ninco Nanco.

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Ninco Nanco, all’anagrafe Giuseppe Nicola Summa, nacque il 12 Aprile del 1833 nel piccolo paesino lucano di Avigliano. Sin dai primi mesi di vita Nicola si ritrova a convivere con una situazione familiare a dir poco allarmante, suo zio materno il feroce Giuseppe Coviello, morì bruciato in una capanna di paglia dove si era rifugiato per sfuggire alla polizia borbonica, lo zio materno passò gran parte della sua vita in carcere dopo uno scontro a fuoco con un gendarme borbonico, la zia e le sorelle erano dedite alla prostituzione, così al padre (onesto contadino) non restò che diventare dedito all’alcol. Nonostante le premesse, Nicola iniziò a lavorare come domestico e poi come guardiano delle vigne, sposandosi a diciotto anni con Caterina Ferrara dalla quale non ebbe figli. Dopo una lite furibonda in cui si ritrovò quasi per caso, il giovane fu costretto a tre mesi di convalescenza, durante i quali meditò una vendetta personale verso uno degli assalitori, che gli costò 10 anni di galera a Ponza. Dopo una rocambolesca fuga, tentò di arruolarsi prima nell’esercito di Garibaldi per ottenere la grazia, ma fu scartato, cosi fece domanda anche a Salerno da Mancusi e ad Avigliano ma entrambi gli esiti furono negativi, così costretto al brigantaggio, cominciò a vivere di rapine e furti.

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Dopo l’incontro nel 1861 con Carmine Crocco, partecipò a numerose scorribande conquistando inizialmente tutto il vulture (senza mai prendere Avigliano), poi gran parte della Basilicata. In quegli anni si fece la fama di grande sanguinario e la sua compagna, non da meno, si diceva gli porgesse il coltello mentre lui strappava il cuore pulsante delle sue vittime. I popolani lo ricordano anche per atti generosi, inviava soldi alle sorelle che versavano in condizioni di assoluta miseria, donava soldi ai cittadini più poveri e depositava spesso oggetti preziosi presso la cappella della Madonna del Monte del Carmine.
Nel 1864 l’attività di Ninco Nanco cominciò a perdere colpi, dopo un’imboscata la sua banda fu decimata e su di lui venne emessa una taglia di 15000 lire. Il 13 Marzo Nanco e due fedelissimi furono braccati presso Lagopeso e giustiziati sul posto per mano della Guardia Nazionale ed i corpi, appesi come monito all’arco della piazza di Avigliano come monito.
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Ninco Nanco dopo l’esecuzione

Nonostante la triste fine di questo ragazzo ribelle e scapestrato, la sua figura continuerà a vivere nelle menti dei concittadini che lo mitizzeranno come moderno “Robin Hood”. Celebre la canzone che i popolani continueranno ad intonare anche anni dopo come inno di lotta contro l’oppressione governativa:

« Ninghe Nanghe, peccé sì muerte?
Pane e vino nan t’è mancate
La ‘nzalate sté all’uerte
Ninghe Nanghe, peccé sì muerte? ».

Ninco Nanco come ogni brigante che si fa rispettare aveva due grandi escrescenze sovralabiali molto mascoline, tipiche di un uomo del sud che passa la sua vita a stretto contatto con la natura. Forse il Lombroso avrebbe definito l’uomo baffuto come rozzo e mascalzone ma Ninco Nanco seppe dimostrare che sotto la scorza sanguinaria si nascondeva un uomo generoso verso il suo popolo ed estremamente scaltro, al punto che seppe tenere testa per anni a buona parte dell’esercito borbonico prima e regio poi.
Anche per oggi è tutto, potete anche  tornare a pettinare i vostri baffi (o le vostre ciccebaffe.. ;)), basta che vi ricordiate di leggere regolarmente le nostre news e naturalmente il prossimo appuntamento di ” Un giorno un baffo!”.

 

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